a cura di Elena Volpato
La GAM di Torino presenta il nuovo allestimento delle collezioni del contemporaneo. Si tratta della prima edizione di un programma di diversi ordinamenti che si succederanno su base biennale.
Le diverse esposizioni permetteranno di far conoscere al pubblico la ricchezza delle collezioni del museo e di dare voce a molteplici letture e interpretazioni critiche.
Questo primo ordinamento, a cura di Elena Volpato, si concentra su due decenni, tra gli anni sessanta e gli anni ottanta,in rapporto di continuità cronologica con quanto è esposto nelle collezioni del ‘900. Lo fa scegliendo di raccontare aspetti rilevanti delle ricerche artistiche di quegli anni, perlopiù scarsamente riconosciuti dalla più diffusa interpretazione storica.
Verso la metà degli anni sessanta, quando le ricerche artistiche si muovevano in direzioni per lo più tese a sovvertire i tradizionali linguaggi artistici e a disconoscere ogni debito con il museo e la storia dell’arte, alcuni artisti italiani continuarono a interrogarsi sul significato della scultura, della pittura e del disegno, sulla possibilità di superare i limiti che sin lì quei linguaggi avevano espresso. Lo fecero senza recidere i legami con la storia, ponendo mente alle origini stesse del gesto pittorico e scultoreo, aprendo le loro opere, come mai prima di allora, ad accogliere e nutrire al loro interno il respiro dello spazio e, con esso, quello del tempo.
Gli artisti rappresentati non fanno parte di un unico gruppo. Alcuni dei loro nomi sono legati alle vicende dell’Arte Povera. Il percorso di altri si è intrecciato con quello della Pittura analitica. Altri ancora, dopo una stagione concettuale, hanno trovato nuove ragioni per tornare a riflettere su linguaggi tradizionali e su antichi codici espressivi. Tuttavia, se le loro opere sembrano dialogare qui con naturalezza, non è per mera cronologia, ma perché nel lavoro di ciascuno di loro c’è molto più di quanto le parole della critica militante avesse motivo di raccontare. In tutti loro, come spesso accade, c’è più personalità e indipendenza di quanto le ragioni di un raggruppamento o le linee di tendenza del mondo dell’arte possano dire.
A distanza di decenni, ora che quelle storie d’insieme sono note e codificate, ora che sempre più mostre internazionali vengono tributate ad alcune di esse, possiamo concederci di guardare agli aspetti più personali del loro lavoro. Ed è proprio in quella cifra individuale che sembra risuonare con più chiarezza un insoluto legame con la storia dell’arte, con i suoi antichi linguaggi, per ciascuno in modo diverso, ma con simile forza.
Se si dovesse provare a spiegare in una frase cosa avvicina tra loro queste opere e i loro autori, là dove sembrano esprimere la loro voce più personale, si direbbe che hanno in comune un autentico desiderio dell’arte, un senso di appartenenza, la consapevolezza di tutto ciò che quella parola aveva significato sin lì e tutto ciò che ancora poteva rappresentare in virtù di quel passato.
Le opere in mostra provengono interamente dalle collezioni del museo. Il nucleo espositivo più rilevante è frutto delle numerose acquisizioni realizzate durante la direzione di Pier Giovanni Castagnoli, tra il 1998 e il 2008. Molte di queste opere sono state acquisite grazie al contributo della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, a cui si deve anche la recente acquisizione dei libri d’artista e delle due opere di Marco Bagnoli, Vedetta notturna, 1986 e Iris, 1987, avvenuta durante l’attuale direzione di Riccardo Passoni.
Animale terribile di Mario Merz, del 1981, e Gli Attaccapanni (di Napoli) di Luciano Fabro, prime tra le opere acquisite dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT dalla sua costituzione, fanno parte di un ristretto gruppo di lavori provenienti dalla Collezione Margherita Stein, acquistato per essere affidato alla comune cura della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e del Castello di Rivoli.
A diciotto anni da quell’acquisto, la GAM è felice di mostrare per la prima volta nei propri spazi l’opera di Luciano Fabro.