A partire da quell’occasione l’opera di Benassi si è progressivamente spostata dalla fotografia a uno spazio d’ombra compreso tra foto e dipinti, tra foto e calchi in gesso. Il suo lavoro fotografico, sviluppatosi sotto il segno del contrasto tra il buio di fondo e la luce del flash sparata impietosamente addosso a ogni soggetto, ha momentaneamente scelto come suo luogo d’elezione e nascondimento la parte non visibile delle cose, quella che resta custodita o prigioniera tra una cornice e l’altra, tra un’immagine e l’altra, quello che si può solo immaginare o desiderare.
Tra gli autoritratti nascosti c’è anche quello scelto per la comunicazione della mostra in cui Jacopo Benassi ci guarda da dietro la lunga frangetta di una pettinatura da donna e sotto quello sguardo fisso ci troviamo a interrogarci sul crudo sapore di verità che può avere un travestimento. Un mascheramento veritiero e una mascherata verità è ciò che può essere la fotografia, accolta in principio come evidenza di realtà e rivelatasi poi, nella sua ormai lunga storia, pronta a mille capovolte tra attendibilità e finzione. Si tratta in qualche modo di un autoritratto criminale, non solo perché potrebbe idealmente appartenere alla triste tradizione che voleva i travestiti, fino a pochi decenni fa, effettivamente schedati e fotografati, ma anche perché presenta i codici tipici dei ritratti segnaletici che Benassi mette in gioco in quella immagine e in molte altre, sin dai suoi inizi, grazie all’insegnamento di Sergio Fregoso e alla lettura di Wanted! di Ando Gilardi, sillabario di estetica della fotografia giudiziaria.
Pensando a questa prima matrice del suo lavoro, non sorprenderà trovare in mostra, per desiderio dell’artista, il grande bozzetto in gesso, conservato nelle Collezioni della GAM, che Leonardo Bistolfi realizzò per il monumento all’amico Cesare Lombroso, poco dopo la sua morte, attorno al 1910. È lì quale testimone di uno sguardo che seppe fissarsi impietoso su alcuni aspetti marginali e deviati del reale con la stessa determinazione con cui agisce il flash di Benassi. I legni che tengono insieme l’opera di Bistolfi, infragilita e frantumata, risuonano con le cinghie che stringono le foto e i dipinti in mostra: simboli di forza e di fragilità insieme. Benassi risponde in mostra allo sguardo buio del teschio di Bistolfi con altri teschi in gesso, dispersi, ripetuti, deformi, crani inquieti. Li ha anche inclusi in un video, anch’esso intitolato Autoritratto criminale, insieme a innumerevoli scatti delle maschere mortuarie in gesso che compaiono nelle teche del Museo Cesare Lombroso di Torino.
Un altro ritratto in via di sparizione si aggiunge in mostra al dialogo ideale con Ando Gilardi e con la memoria di Lombroso, quello del più grande criminale della storia, “chiamato in scena – scrive Elena Volpato - forse per tentarne un’impossibile cancellazione sotto uno spesso strato di vetri. Non vetri qualsiasi, ma recuperati dallo studio di un pittore spezzino, Manlio Argenti, come se oltre allo spessore ci fosse la necessità di un’ulteriore sovrapposizione, del frapporsi di un ricordo di altre immagini dipinte, della distanziante evocazione di opere altrui, per accrescere la capacità dei vetri di fare velo, di sfumare l’insostenibile dimensione del crimine che il ritratto di Hitler porta con sé, anche quello scattato da Benassi, in perfetto stile segnaletico, al suo fantoccio presente al museo delle cere di Londra. Nonostante siano le fattezze di una maschera, nonostante sia la rappresentazione di una rappresentazione, nonostante il numero ingente di vetri frapposti, la nota effige continua a emergere. E così si riavvia il ciclo vitale dell’immagine che continuamente sparisce per riapparire, tra rumore visivo e profondo silenzio, fra sovraesposizione e buio. In Benassi, tutto ciò che affiora affonda, e tutto ciò che affonda riaffiora”.
Si ringrazia la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, Augustin Laforêt e la galleria Francesca Minini per la preziosa collaborazione.
Alcuni scatti della campagna fotografica a documentazione della mostra; la campagna completa è disponibile presso l'Archivio Fotografico di Fondazione Torino Musei.
La mostra è inclusa nel biglietto della collezione permanente, acquistalo online.