Visto il successo di pubblico la mostra è prorogata fino al 5 novembre 2017
Tra il 1940 e il 1945, durante la seconda guerra mondiale, Torino fu sottoposta ad una lunga serie di incursioni aeree e molte zone della città furono danneggiate profondamente dalle bombe. Anche l’edificio del 1880 che ospitava le collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna fu bombardato e parzialmente ridotto in macerie, così come furono danneggiate alcune sculture di grandi dimensioni che non si erano potute trasferire altrove.
Alla fine della guerra, una Torino nuovamente liberata e democratica re-immagina il futuro.
Dalle bombe al museo ripercorre l’itinerario di rinascita dell’arte moderna in Italia, all’uscita del ventennio di autoritarismo e isolamento che il regime fascista, alleato della Germania nazista, aveva imposto. La storia della ricostruzione della Galleria d’Arte Moderna di Torino - progettata da Carlo Bassi (1923) e Goffredo Boschetti (1923-2013), durante la direzione di Vittorio Viale (1891-1977) - vale come esempio della più ampia Ricostruzione che il nostro paese, con straordinaria vitalità ed energia, incomincia nel 1945 e realizza lungo i decenni successivi.
La nuova Galleria, aperta nel 1959, sorge dai ruderi del Padiglione Calderini, colpito da uno spezzone incendiario nel corso dei bombardamenti della notte del 20 novembre 1942: fin dal 1895 ospitava le Collezioni d’arte moderna dei Musei Civici di Torino. La vicenda, ricostruita dalla mostra, è dunque concentrata in un isolato (tra via Magenta, corso Galileo Ferraris, via Vela e via Fanti): il luogo della città dove è possibile scoprire l’arte del proprio tempo, all’incrocio del dialogo tra arte italiana e straniera.
Nelle prime sale sono esposte alcune opere emblematiche (in parte distrutte e in parte restaurate) del museo bombardato, e nella prosecuzione della visita apparirà subito chiaro che nella Galleria dell’epoca si stava lavorando già con l’intenzione di costruire una collezione di respiro internazionale, che maturava persino prima che il cantiere fosse aperto. Basti pensare all’acquisto, alla Biennale di Venezia del 1948, di un’opera di Chagall, seguita poi dalle importanti acquisizioni nelle rassegne “Pittori d’Oggi. Francia Italia”, a partire dal 1951: Hartung, Manessier, Tal Coat.
Le oltre 60 opere esposte sono intercalate da 90 fotografie d’epoca e da un’ampia selezione di tavole e disegni d’architettura, lettere e documenti originali. Dipinti, sculture e carte appartengono alle Collezioni della GAM e ai suoi Archivi storici. Lungo il percorso espositivo, poltroncine, tavoli, sedie e lampade ricostruiscono alcuni degli arredi originali della Galleria, documentando la ricerca del design di quegli anni.
Dalle bombe al museo è una mostra corale, che intreccia storia, arte, architettura, design, attraverso il progetto di Carlo Bassi e Goffredo Boschetti, le opere di artisti come Marc Chagall (Dans mon pays, 1943), Hans Jean Arp (Scultura di silenzio “Corneille”,1942), Giacomo Manzù (Ragazza seduta, 1948), Hans Hartung (Composition T. 50-5, 1950), Emilio Vedova (Dal ciclo della natura n. 9 (spaziale = invasione), 1953), Pinot Gallizio (La cicogna, 1957) e un gruppo di oggetti e mobili dei BBPR (Belgiojoso, Peressutti e Rogers), Luigi Caccia Dominioni, Gio Ponti, Ico Parisi.
A partire da questo patrimonio, la mostra intende ripercorrere e ricordare la storia di una utopia diventata realtà, mettendo in luce la straordinaria capacità di una intera città di trasformare la deformità della guerra in una idea propositiva verso il futuro.
La storia
La nuova sede della Civica Galleria d’Arte Moderna è un progetto degli architetti Carlo Bassi e Goffredo Boschetti, vincitori, non ancora trentenni, del concorso nazionale bandito dalla Città nel 1951 e concluso nel 1952. La commissione giudicatrice, nominata dal Comune, dà un primo segno importante di novità che si tradurrà nell’approvazione del progetto di un museo avveniristico. Il suo cantiere è la cornice dell’intenso confronto tra i progettisti e il direttore Vittorio Viale, che consiglia, discute, propone, mettendo a disposizione competenza museografica e contatti internazionali. Dal 1954 al 1959, la Galleria in costruzione è un crocevia internazionale, la sede di sopralluoghi di architetti e direttori di musei, il punto di scambio di informazioni (dal Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, al Rijksmuseum di Amsterdam, dal Metropolitan Museum di New York, alla Kunstahaus di Zurigo).
Inaugurata dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il 31 ottobre 1959, la Galleria è “moderna” ed “europea”, come titolano i quotidiani di quei giorni.
Le sue pareti esterne sono inclinate: ai torinesi incuriositi e perplessi Luigi Carluccio ricorda, tra le colonne della “Gazzetta del Popolo”, che anche al Guggenheim Museum di New York, firmato da Frank Lloyd Wright e appena aperto, i muri sono “ciechi” e “sghembi”, sviluppati “su un percorso a spirale, a guscio di chiocciola”.
A Torino, il museo si sviluppa in tre corpi (con l’ala delle collezioni permanenti, quella delle mostre temporanee, il blocco con la sala conferenze e la biblioteca). Si inserisce diagonalmente nell’isolato, seguendo l’asse eliotermico, un principio che i progettisti adottano per intercettare la luce solare e per ricavare a terra un giardino, fatto di spicchi di prato che si insinuano tra le forme mosse dell’edificio. Bassi e Boschetti hanno rotto la maglia ortogonale, razionale e ordinata, espressione della forma mentis della città.
Dotato di una sua tensione, l’edificio è percorso da una forte dialettica interna che coglie, da un lato, una riflessione sulla “deformità” provocata dalle distruzioni della guerra, e dall’altro testimonia la tensione verso il futuro, con un progetto per una costruzione fatta di diagonali e linee spezzate, una sorta di astronave atterrata sui viali della città.
Questo immaginario utopico sul futuro - che l’architettura traduce in strutture nuove, e che va di pari passo con la nascita dell’informale e del cinema neorealista - nasce prima di tutto nell’arte e si sviluppa verso la fine degli anni Cinquanta. Le proposte artistiche e le forme legate allo spazialismo, all’arte cinetico-programmata e all’optical, ricordano il nostro museo.
Immaginare di trasformare la distruzione della guerra in un’idea propositiva per il futuro, è la sfida colta dall’allora direttore dei Musei Civici Vittorio Viale. Con grande lungimiranza, accresce le collezioni di arte moderna ancor prima che si pensi alla costruzione di un nuovo museo, creando le premesse per gli sviluppi futuri delle nostre collezioni moderne e cogliendo “il sempre più vivo interesse della città per le espressioni artistiche del nostro tempo”.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale con testi di Carolyn Christov-Bakargiev, Giuseppe Berta, Carlo Bassi, Giorgina Bertolino e Riccardo Passoni.