Dalla metà degli anni sessanta il lavoro di Giovanni Anselmo ha smesso di essere rappresentazione di qualcosa entro i limite finito della tela,fosse esso disegno o dipinto. L'artista non consegna più il suo lavoro al pubblico,come se uscisse definitivamente da sé, abbandona la tela come luogo della rappresentazione pittorica e lo trasforma in esperienza continua comunicando il senso dell'agire nel tempo dell'opera. Anselmo utilizza integralmente la tela e il suo telaio. I colori, cioè la pietra, operano sia in senso cromatico sulla superficie sia realmente su di essa. Le pietre sembrano posate per caso a cavallo della tela,mentre agiscono si mantengono in equilibrio aggrappate al telaio tramite un cappio fatto con il cavo d'acciaio,consumando attimo dopo attimo il telaio stesso. Si determina così una situazione di energia, analogamente a quanto accade nei lavori con l'ago magnetico: puramente fisica in questo caso,ma sempre proiettata verso l'infinito,quello suggerito dalla tela dipinta di bianco,somma di tutti i colori, non più luogo di una rappresentazione ma di tutte le rappresentazioni possibili.
Gregorio Mazzonis