In occasione della mostra ANDO GILARDI REPORTER. ITALIA 1950-1962 a cura di Daniela Giordi
Giovedì 11 aprile alle 18 Sala 1 GAM
Ingresso libero fino a esaurimento posti
"...Si chiamava Ando Gilardi." "È morto?" "Non è chiaro..." (da Meglio ladro che fotografo)
Chi è stato Ando Gilardi? Storico eretico di tutte le fotografie mai ritenute degne di storia, cultore e archivista dell’immagine umile, moltiplicata e anonima, fondatore e sfondatore di riviste memorabili e irriverenti, pare se ne sia andato cinque anni fa a novant'anni ben vissuti, nella sua casa di Ponzone, nell'Alessandrino, sulla sedia a rotelle dove troneggiava da tempo, barba da patriarca e caffetano da guru, sempre meno mobile nel corpo e sempre più agile di mente. Diceva di sé: "meglio ladro che fotografo" ma è stato il grande Lupin, il ladro gentiluomo della fotografia e della fotologia italiana, il Robin Hood che ha trafugato l'eredità di Daguerre dai saloni e dai soloni delle accademie per restituirla a tutti, soprattutto ai suoi veri eroi, i magnifici randagi anonimi della fotografia povera e di strada, i reietti, i sottoproletari delle figurine sottobanco, maleducate e irriverenti. Senza la sua imprescindibile Storia sociale della fotografia, uscita nel 1976 e tuttora in libreria, la sua sfrontata Storia infame della fotografia pornografica, il suo Wanted! dedicato a quella criminale, la nostra cultura dell'immagine sarebbe solo un noioso canone di busti da museo. In occasione della mostra che riscopre il suo lavoro di “fotografo scalzo”, di cui si pentì e si pentì di essersi pentito, torniamo sui suoi passi per cercare di incontrarlo, capirlo, ricordarlo a chi lo ha apprezzato e seguito e anche a chi, ancora oggi, ne ha fastidio perché ha paura che la sua visione della fotografia metta in crisi troppi comodi luoghi comuni.
Michele Smargiassi Sono nato prevalentemente nel forlivese, verso la metà del secolo scorso (l’8 ottobre del 1957). Con mia grande sorpresa faccio il giornalista, che era il mio sogno da bambino: mentre adesso che sono giornalista, di mestiere vorrei fare il bambino. Mi sono laureato in Storia contemporanea all'Università di Bologna con una tesi sulle trasformazioni urbanistiche viste attraverso l’occhio della cartolina illustrata. Dal 1982 ho lavorato a l’Unità, poi dal 1989 a La Repubblica, testata per cui scrivo di società, cultura e, se proprio devo, anche di politica.
Mi occupo da quasi trent’anni di fotografia e cultura visuale. Nel 2009 ho creato e gestisco tuttora il blog Fotocrazia. Oltre a testi per mostre, articoli, cataloghi, riviste e volumi collettivi, prefazioni e postfazioni, ho scritto alcuni libri tra cui Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso, Contrasto, 2009); Ora che ci penso. La storia dimenticata delle cose quotidiane (Dalai, 2011); il saggio La famiglia foto-genica per gli Annali della Storia d’Italia Einaudi (2004). Presso DeriveApprodi è uscito nel 2015, nella raccolta Etica e fotografia, il mio saggio "Bugie dell'elocutio". Faccio parte del direttivo della Sisf – Società Italiana di Studi di Fotografia, del comitato scientifico del Centro italiano per la fotografia d’autore di Bibbiena e del comitato scientifico della Fondazione Nino Migliori.