La Fondazione Torino Musei dedica un’ampia rassegna alla fotografia di Mario Cresci nella sede della GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. La mostra presenta una significativa selezione di opere fotografiche realizzate dal 1966 al 2003, divise per progetti specifici e aree tematiche. Il lavoro di Mario Cresci (Chiavari, 1942) si snoda da quasi quarant’anni tra la ricerca, la grafica e la sperimentazione fotografica, sviluppando una continua analisi che porta ad uno scambio dei vari linguaggi visuali. Utilizzando il mezzo fotografico, Cresci è da sempre impegnato in un articolato lavoro di lettura, interpretazione e trasformazione della realtà e si allontana con precisa volontà dalla pura descrizione del quotidiano e del reale. La sua ricerca prende avvio a partire dalla metà degli anni Sessanta e si inserisce nel pieno clima di rinnovamento e tensione sociale di quel periodo, che porta inevitabilmente a vistosi cambiamenti anche nel panorama artistico. Per questo i suoi primi lavori, alterazione fotografica del cerchio dalla serie Geometria non euclidea (1964-1966), sono pure sperimentazioni, vere e proprie “fotografie analitiche”, che prendono esempio dalle recenti indagini sulla percezione visiva e già mostrano un approccio non convenzionale con la fotografia, quasi un passaggio inevitabile tra la grafica e il design. Dello stesso periodo molto interessanti sono le “ricerche sul quadrato” e la serie Fotogrammi d’affezione (Tricarico 1967). Il percorso di Mario Cresci prosegue sulla stessa linea con la serie legata a temi sociali, che si sviluppa a Tricarico (Matera) con il gruppo del Politecnico. Il suo metodo di ricerca ha la possibilità in questi luoghi di darsi una nuova dimensione, i soggetti cambiano, anche se l’approccio continua ad essere quello dell’analisi sperimentale. Le fotografie in scatola di Environnement, mille immagini in mille cilindri trasparenti (1969), che realizza per la galleria “Il Diaframma” di Milano, concludono le ricerche degli anni Sessanta e diventano oggetti tridimensionali, quasi beni di consumo. Negli anni Settanta si trasferisce a Matera dove crea il primo laboratorio di grafica e fotografia della Basilicata. Le due serie dei Ritratti reali e dei Ritratti mossi descrivono una realtà diversa: territorio, memoria e famiglia non sono raccontati come in un reportage, bensì trasfigurati dall’occhio dell’artista che compie un’indagine approfondita anche utilizzando artifici tecnici. La sfocatura dei volti delle persone, ad esempio, permette di leggere con più attenzione il mondo che ruota intorno. L'interesse per il paesaggio è una costante nel lavoro di Mario Cresci, e anche in questo caso la visione che viene offerta è in continua evoluzione. A partire da Vedere a rovescio del 1974, fino al maggior interesse per questo tema negli anni Ottanta, il paesaggio è in totale relazione con gli uomini che lo abitano e riesce a divenire un luogo non prospettico, una pura astrazione, un palcoscenico che permette lo svolgersi della vita. Lo vediamo nel volume uscito nel 1980 L’archivio della memoria. Fotografia nell’area meridionale 1967-1980 e nel successivo Basilicata. Immagini di un paesaggio imprevisto del 1983, fino a giungere ai lavori per il progetto Viaggio in Italia del 1984 in cui Luigi Ghirri lo coinvolge insieme a venti fotografi diversi tra loro per scuola e provenienza. Gli anni Novanta sono per Cresci anni di cambiamento. Si dedica attivamente all’insegnamento (dal 1992 al 2000 è direttore dell’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo) e il suo lavoro di artista compie un percorso che Roberta Valtorta definisce nel saggio in catalogo, dal titolo emblematico Il tempo circolare di Mario Cresci, come dei “ritorni”. Il suo sguardo si rivolge alle esperienze passate, in un riaffiorare continuo nella memoria delle cose fatte, ma anche nel rivedere le strade percorse per recuperarne i meccanismi. Ritorna ad esempio al tema delle cave di tufo, già affrontato negli anni Settanta, ma aggiungendo il colore e fermando lo sguardo su particolari prima non toccati, come le orme che si depositano sulla polvere ammucchiata come in Fuori luogo Cava di tufo a Matera 2002. La serie Vedere attraverso del 1994 riprende alcuni suoi vecchi scatti, sui quali compie un’operazione di messa a fuoco. Un tondo lasciato trasparente, al centro della pellicola dipinta di nero che ricopre la fotografia, permette la visione parziale dell’immagine, come da un “foro stenopeico” all’interno di una camera oscura. Infine ricordiamo tra i lavori più recenti la serie dal titolo Le stanze del 2003 realizzata in una villa di Verona in cui i particolari cercati e immortalati sono ombre, luci e segni astratti. In un lavoro simile, La casa di Annita sempre del 2003 Mario Cresci racconta la memoria attraverso gli oggetti appartenuti a persone ora scomparse che hanno abitato quella casa. Ripreso a colori, con vista dall’alto, adagiato sul pavimento, l’oggetto diviene un segno che si mescola al disegno delle piastrelle su cui si posa. . In mostra sono presenti, oltre l’ampia selezione di fotografie, anche importanti video realizzati da Mario Cresci: da Cronistorie 1970 – Tricarico, Intermezzo: Acqua di Parma del 2002 e Fatti: Corti svedesi del 2002. Il catalogo, edizioni GAM, contiene saggi critici di Christian Gattinoni, Roberta Valtorta, Alberto Veca e Claudia Zanfi.